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mercoledì 12 ottobre 2011

Una nuova speranza


Una nuova invenzione promette di portare la fusione fredda su tutte le caldaie del mondo: il silenzio dell’informazione, le negazioni della scienza ufficiale, le diatribe brevettuali.


Se c’è qualcosa Andrea Rossi ha sicuramente acceso, con la collaborazione del fisico Sergio Focardi, questa è per lo meno la speranza che la sua invenzioni funzioni. E mentre nel Web infuriano polemiche non scevre da insulti tra blogger e accademici, migliaia di cuori battono forte nell’attesa che la speranza divenga presto realtà. L’immagine che ci si forma è molto simile a quella che abbiamo appena visto con la notizia dei neutrini superluminari: i principali telegiornali annunciano la scoperta, programmi di approfondimento dedicano ampi spazi, la notizia rimbalza sui social network, si moltiplica sui blog, vengono rilasciate dichiarazioni dai politici, dagli industriali…

Torniamo indietro di qualche passo (22, per la precisione). L’anno scorso comincia a circolare per la rete la notizia che un inventore italiano, Andrea Rossi, sia vicino alla commercializzazione di un apparecchio rivoluzionario, legato a tecnologie controverse ed ad un catalizzatore segreto, che promette di generare energia per mezzo di fusione fredda (o LENR, come la definiscono per allontanare lo spettro di Fleishman e Pons), a costi irrisori, senza emissioni e rifiuti, anzi, producendo prezioso rame per la trasmutazione dell’economico nichel.

Tanto per capirci, significherebbe che già dall'anno prossimo potremmo sostituire le nostre caldaie casalinghe e fare a meno di metano, o gasolio: solo una ricarica da un chilo di nichel l'anno o giù di lì. Senza contare le applicazioni a livello industriale, le centrali elettriche (niente più petrolio, carbone, tantomeno fissione nucleare...).

Naturale che la comunità scientifica, di fronte a tali informazioni, non reputi neanche di doversi pronunciare, tanto sembra costruito ad arte per finire su Striscia la Notizia tra le bufale dell’anno.

Però, ecco la cosa interessante, la macchina in questione, funziona.

O per lo meno sembra funzionare, per lo meno dopo diverse dimostrazioni effettuate con un pubblico selezionato e ristretto e divulgate in Rete. L’E-Cat, Energy Catalizer del Dott. Rossi, con grande soddisfazione degli astanti, scalda più, molto di più di quanta energia gli venga fornita. Ad oggi tutti concordano che non sia stata effettuata una dimostrazione definitiva al di là di ogni dubbio (“dove sono nascoste le batterie?”) vuoi per una certa “approssimazione” del metodo scientifico utilizzato da Rossi, vuoi perché Rossi dichiara di non essere interessato ad una validazione ufficiale dato che per lui l’importante sarà il successo che l’e-gatto otterrà sul mercato.

Nel frattempo fino ad oggi impera, al di fuori della rete, l’assordante silenzio di tutte le televisioni, di tutti i giornali, di tutte le trasmissioni nazionali di approfondimento. Eppure alcuni articoli sono usciti in tempi diversi su Repubblica, Focus, Il Resto del Carlino, togliendo ogni scusa al resto dell’informazione ufficiale che rimane bucata e apparentemente disinteressata. Ma se una notizia possiede una importanza proporzionale alla vicinanza e al numero di persone interessate, non si capisce perché una invenzione italiana che potrebbe sconvolgere (non è una iperbole) il mondo, passi così trascurata. Al tempo di Fleishman e Pons la stampa importante diede fiato alle trombe promettendo un mondo migliore nel medio-lungo periodo. Ora, che l’applicazione commerciale sembra alle porte, abbiamo il ministro dell’educazione e della ricerca che preferisce fare strane dichiarazioni per altri tunnel di cui non capisce bene la lunghezza.

E dire che a Rossi farebbe proprio comodo un finanziamento pubblico per la ricerca, dato ormai a cane e porci per ricercare cose molto più improbabili e molto, ma molto meno importanti, che l’inventore potrebbe spendere presso l’Università di Bologna per dei test con validità accademica sull’E-Cat (pare che l’UniBO abbia chiesto a Rossi 500.000 euro per prendere in carico la ricerca. Ma perché una Università non sarebbe interessata a ricercare per suo conto su un argomento con tali implicazioni?).

Che cosa succederebbe se l’E-cat venisse commercializzato? Proviamo ad ipotizzare. L’economicità della produzione energetica ed il piacere della novità spingono milioni di utenze, nel mondo, a far uso di energia prodotta da LENR. La richiesta di petrolio, crolla, e con essa le emissioni delle tanto vituperate emissioni di CO2. Gli scienziati, i politici, i faccendieri che lucrano sui sistemi di Emission Trading (scambio e commercio di anidride carbonica per le finalità del controllo del riscaldamento globale), crollano o non sono più utili. Le centrali nucleari tradizionali, a fissione, chiudono o vengono convertite alle LENR. Le aziende energetiche che non si convertono alla LENR crollano in borsa. Le compagnie che si basano sulle energie rinnovabili che non si convertono alle LENR, crollano (l’E-Cat è molto più pulito ed economico di qualsiasi solare, eolico o che dir si voglia). Il Medio Oriente e l’OPEC, crollano, niente più miliardi per le guerre di religione. Tra l’altro quei territori diverrebbero poco interessanti per le potenze straniere, facendo decadere le fondamenta dei conflitti. I costi di produzione e di trasporto diventano più convenienti, le merci meno costose, si aprono nuovi mercati. Più persone possono accedere a beni che prima non potevano comprare, diminuisce la povertà nel mondo. I PIL degli stati si impennano. A sorpresa la Grecia, che in Europa ha le maggiori risorse di estrazione per il nichel, vede rifiorire la propria economia.

Chiaro che Rossi sia cauto a non volere troppa pubblicità, a pensar bene, e visto che l’inventore ha già subito in passato guai giudiziari per la vicenda della Petroldragon che prometteva un metodo innovativo per la produzione di carburanti dai rifiuti, sembra quasi opportuno che il mondo ne resti all’oscuro fino all’ultimo momento, visto gli interessi in gioco (nei film di spionaggio si uccide per molto meno).

Per questo vogliamo tralasciare le vicende brevettuali tra Rossi e la Defkalion, società greca con cui Rossi aveva iniziato una collaborazione finita in mano ad avvocati (e che promette di commerciale a breve il suo E-Cat, l’Hyperion), un misterioso cliente americano, i detrattori giurati, un impianto da un megawatt da testare il 28 Ottobre (in foto), vicende legali legate alle leggi statunitensi sul trasporto di materiale nucleare, e tanti conteggi e riconteggi energetici da far venire il capogiro.

E alla fine non ci interessa neppure molto la posizione della termocoppia di tipo k sull’uscita del circuito secondario. Vogliamo solo lasciare accesa la speranza che l’E-cat illumini, un giorno, le strade del mondo.

Approfondimenti e aggiornamenti:
Focus: La fusione fredda su Focus.it
Il sole 24 ore: Fusione fredda, la sfida continua

sferotecnologia

venerdì 26 marzo 2010

L'isola che non c'era

Sembra ormai appurato che una piccola isola contesa tra India e Bangladesh, non più alta di due metri sul livello del mare, disabitata, sia scomparsa per l'innalzarsi dell'oceano. Quello che dovrebbe farci riflettere è come questa notizia sia stata rilanciata sui mezzi di informazione come una clamorosa evidenza del Riscaldamento Globale e dei danni ambientali provocati da questo fenomeno. La notizia taciuta è che quest'isola non era esistita da sempre, ma risulta comparsa (affiorata nel Golfo del Bengala) nel 1970 e da quella data era iniziata la contesa dei due stati asiatici. Una informazione molto facile questa da reperire, sarebbe bastato fare una ricerca su Wikipedia. 
La situazione dunque è ben diversa da quella presentata, infatti l'oceano avrebbe sommerso l'isolotto in base ad un ciclo naturale che niente avrebbe a che fare con il Global Warming (nel 1970 non se ne parlava neanche, anzi si temeva fossimo diretti verso una nuova glaciazione). Però la notizia è comunque passata con enfasi catastrofistica di numerosissime testate e senza menzionare il fatto che l'Isola di New Moore non era esistita da sempre; anzi, riportando della contesa trentennale fra India e Bangladesh e quindi omettendo che quella contesa era iniziata proprio perchè l'isola, effettivamente, prima non c'era.
Tra le testate cadute nel facile allarmismo possiamo menzionare La Stampa, Zeroemission.tv, EcoBlog, e molti altri. Alcuni siti  riportano correttamente l'informazione, come Il Giornale, che però afferma prima che l'isola era contesa "da sempre", per poi specificare più avanti che esiste solo da una quarantina di anni. Anche molte testate mondiali hanno ceduto alla stessa tentazione.
L'effetto complessivo appare comunque quello di cavalcare l'onda delle catastrofi che sarebbero provocate dall'effetto serra, quando invece, come in questo caso, si tratta nient'altro di un ciclico battito di cuore del grande oceano. Altra EcoBalla.

Approfondimenti: L'illusione di Kyoto

domenica 8 luglio 2007

L'illusione di Kyoto


Come funziona il Protocollo di Kyoto in pratica, quanto costa ad ogni famiglia italiana in tasse e bollette, chi ci guadagna e perché non salverà il mondo

Come funziona in pratica il protocollo di Kyoto

C'è una legge in Italia, il Decreto Legislativo 216/06, che definisce quando una azienda debba entrare a far parte del sistema deciso nel protocollo. Tutte le aziende interessate richiedono allo stato delle quote disponibili di CO2, espresse in tonnellate, a seconda di quante ne avevano consumate i tre anni precedenti. Lo stato ne assegna un po' di meno di quelle che servirebbero, nell'ottica di diminuire le emissioni totali del 6,5% (per l'Italia) entro il 2012. A questo punto l'azienda deve costituire un sistema di gestione che monitorizzi le emissioni di anidride carbonica che produce, quindi deve, a seconda dei suoi cicli produttivi, fare prelievi, analisi, calcoli e stime che diano un conteggio di quante tonnellate di anidride carbonica abbia emesso in atmosfera in un anno. Alla fine di ogni anno, entro Aprile, l'azienda deve chiamare un ispettore di un ente di controllo, autorizzato dal ministero dell'ambiente, che verifica i conteggi in base ai documenti aziendali ed a una ispezione agli impianti. L'ispettore scrive un rapporto e propone al suo ente di convalidare, o di non accettare, i conteggi fatti dall'azienda; in caso positivo l'ente emette un certificato che autorizza l'azienda a comunicare al ministero dell'ambiente il conteggio riscontrato. Ora, se le tonnellate emesse sono minori di quelle ricevute in quote allora è una azienda virtuosa, e non solo non deve pagare altro, ma può vendere le quote avanzate nei Mercati delle Emissioni appositamente creati a livello mondiale. Se invece ne ha consumate troppe, allora ha poche possibilità: o compra delle quote dalle aziende virtuose, oppure paga una multa pari a 40€ per ogni tonnellata di troppo. Altra possibilità è fare degli investimenti nei paesi in via di sviluppo finalizzati alla riduzione in quei luoghi di emissioni di CO2, cosa questa che fa guadagnare altre quote.

Quanto costa ad ogni famiglia italiana

Il protocollo di Kyoto, naturalmente, costa. Costa alle aziende che devono implementare il sistema descritto sopra, perché devono assumere dei consulenti che le dicono come effettuare i conteggi, pagare le analisi di laboratorio necessarie, dedicare delle risorse umane alla gestione ed alla implementazione del sistema, pagare l'ispettore e l'ente di verifica, e infine, se come succede quasi sempre hanno prodotto più anidride carbonica di quella concessa, pagare le sanzioni risultanti oppure comprare altre quote, per spese che possono essere di alcune decine di migliaia di euro come di milioni di euro per le aziende più grandi. Ed a pagare siamo tutti noi, attraverso i prodotti che compriamo e attraverso le bollette dell'energia consumata. Infatti tutto il sistema si traduce in costi di produzione maggiori, e di conseguenza di prezzi dei prodotti maggiori. Per i prodotti di normale consumo il prezzo viene calmierato dal mercato di libera concorrenza, ossia l'azienda che vende un prodotto si accolla gran parte di questo aumento per rimanere competitiva nel mercato, mentre nei regimi di monopolio come è stato finora quello dell'energia elettrica per le famiglie, il 100% del costo sostenuto dall'Enel viene riversato direttamente in bolletta (circa il 2% della bolletta). Infatti l'Enel non era tra le aziende virtuose, checché ne dica la pubblicità, e ha dovuto acquistare milioni di euro di quote di CO2 per i consumi in eccesso, facendocele pagare a noi.


Perchè il protocollo di Kyoto non salverà il mondo

Prima di tutto perchè ci sono buone possibilità che il mondo si salvi da solo. Dal grafico che vedete riportato infatti si vede che la temperatura media della terra negli ultimi 420.000 anni ha subito delle oscillazioni periodiche in concomitanza con alcuni cicli del nostro sole. Quindi la maggior parte del riscaldamento globale è dato dalla maggior radiazione solare che investe la terra, e non dalla produzione di CO2 dell'uomo. Di conseguernza quando questa fase solare sarà passata, le stagioni riprenderanno il loro normale corso, come è avvenuto anche in passato. Poi c'è da dire che i due maggiori produttori di anidride carbonica nel mondo, Stati Uniti e Cina, non hanno sottoscritto il protocollo di Kyoto, rendendo poco importanti gli sforzi degli altri stati partecipanti. Inoltre la CO2 non è l'unico gas serra, ma ne rappresenta solo una piccola quantità essendo la stragrande maggioranza della responsabilità dell'effetto serra dovuta all'umidità dell'aria, ossia... alle nuvole. Ora, sembra che raggiungere una diminuzione del 6,5% nelle emissioni di Gas Serra nel 2012 per l'Italia, e per altre stati, sia un obiettivo impossibile (è meno difficile per gli stati che posseggono centrali nucleari), e saremo costretti a pagare, come nazione, delle sanzioni di miliardi di euro. Ma anche se riuscissimo nell'obiettivo, tale riduzione sarebbe pressoché ininfluente di fronte alle variazioni climatiche dovute alla radiazione solare. Conclusioni: stiamo facendo degli sforzi nella direzione sbagliata, e i dati per capirlo sono alla portata di tutti.

Andamento della concentrazione di CO2 (in verde) e della temperatura (in blu) della Terra negli ultimi 480 mila anni; gli aumenti dell'ultimo cinquantennio sono in linea con le oscillazioni periodiche correlate all'entrata in fase, ogni circa 100 mila anni, di alcuni cicli solari (Petit et al., 1999).


Ma allora chi ci guadagna?

A guadagnarci sono tutti quelli che lavorano nel campo dell'Emisison Trading, intanto, come consulenti aziendali, chimici, laboratori analitici. Tutto il sistema di controllo, enti autorizzati, ispettori. Tutti quelli che fanno allarmismo e vendono libri. I politici che guadagnano voti con l'ambientalismo demagogico. E' facile capire come tutto questo, moltiplicato a livello mondiale, fa girare miliardi di dollari. Si pensi inoltre che è stato creato un intero nuovo mercato, per lo scambio di quote di CO2, con quotazioni aggiornate e possibilità speculative enormi, essendo un mercato poco conosciuto e molto instabile. E comunque nel libero mercato far girare soldi produce sempre benessere, ma per pochi, a scapito delle piccole e media aziende che non hanno risorse per accedere ai meccanismi più redditizi del mercato delle emissioni, e dei contribuenti e consumatori che finanziano, quasi sempre inconsapevoli, tutto questo bel gioco.

Conclusioni

Il riscaldamento globale è una realtà, minacciosa, innegabile. La nostra generazione rischia di conoscere sconvolgimenti climatici come non ce n'è memoria a livello storico; proprio per questo lo sforzo a livello mondiale deve essere enorme, ma ben indirizzato. Prima di tutto deve essere convogliato negli aiuti a quei paesi che non hanno mezzi propri per arginare alluvioni e desertificazioni. Poi deve essere investito nella ricerca e nella tecnologia di nuove fonti energetiche e del miglioramento delle esistenti, nelle biotecnologie per migliorare le produzioni agricole e renderle più resistenti. Soprattutto deve essere superato Kyoto e le sue inefficienze di fondo, e creato un meccanismo globale, con tutti dentro, che gestisca i cambiamenti che ci aspettano.


Approfondimenti:
Variazioni climatiche, Adriano Mazzarella, Prof. Climatologia Università di Napoli Federico II
Mutamento climatico, Wikipedia (in inglese, la pagina in italiano è ancora molto lacunosa)
Il sistema Europeo di Emission Trading, Laura Monni, ambientediritto.it


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